La viticoltura fino al dopoguerra in Trentino

Risale al 1950 l’idea del Comitato vitivinicolo provinciale di elaborare una Carta viticola del Trentino allo scopo di acquisire gli elementi necessari a programmare lo sviluppo del settore.

In quegli anni l’agricoltura continua a rappresentare il settore principale dell’economia provinciale, nonostante la perdurante arretratezza che la caratterizza e la difficoltà di affrontare i nuovi mercati sempre più aperti e competitivi. Pesano ancora le conseguenze dell’evento bellico e il mancato completamento della riconversione post-fillosserica avviata tra le due guerre, troppo presto interrotta a causa della crisi degli anni Trenta e del secondo conflitto mondiale.

Già nel 1919 l’annessione del Trentino all’Italia aveva costituito un momento critico, in particolare per il settore vitivinicolo; venuti a mancare i tradizionali sbocchi commerciali sulle grandi piazze dell’impero, Germania e Svizzera in particolare, la situazione era divenuta più complessa, mentre i nuovi mercati erano tutti da conquistare.
Inoltre, in molte zone, gli impianti dovevano essere rinnovati o perchè gravemente danneggiati dalla guerra o perchè infestati dalla fillossera (leggi l’approfondimento), che aveva ripreso vigore durante gli anni della prima guerra mondiale.

Abitazione rurale, 1955 Brenta – Caldonazzo Archivio storico CCIAA TN ©

Alla fine della guerra l’agricoltura trentina iniziava lentamente a riorganizzarsi, seppur in assenza di indirizzi coerenti. Se in alcune zone meno vocate per la vite, come la Val di Non e la Valsugana, si avviava la conversione alla frutticoltura, altrove le incerte condizioni generali riproponevano tradizionali pratiche di coltivazione promiscua (frutta, vite, cereali), lontane dalla specializzazione colturale richiesta dagli indirizzi più moderni.

Laddove invece la vocazione viticola del territorio era confermata, prese avvio un grosso sforzo di ricostruzione dei vigneti e di riassortimento varietale, con un deciso orientamento verso nuove varietà in grado di garantire il miglioramento qualitativo della produzione.

Questo sforzo fu accompagnato e sostenuto dall’azione dei diversi organismi: il Consiglio provinciale dell’economia di Trento, che nel 1926 sostituì il Consiglio provinciale per l’agricoltura del Tirolo (1881) con funzioni di indirizzo del settore, le Associazioni agrarie, subentrate ai vecchi Consorzi distrettuali nell’acquisto delle scorte agrarie e degli strumenti di lavoro, l’Osservatorio fitopatologico per i controlli fitosanitari e i vivai viticoli-pomologici che fornivano le piante delle varietà selezionate per i nuovi impianti. A questi si aggiunse la Cattedra ambulante d’agricoltura, insediata anche in Trentino come nel resto d’Italia nel 1929, a dare continuità all’azione delle vecchie cattedre ambulanti già presenti nel Tirolo meridionale per merito della Società agraria di Rovereto prima (1872) e dell’Istituto agrario poi a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento, iniziative tutte nate per fornire un’istruzione di base ai contadini e divulgare i risultati delle prove sperimentali condotte dalla Stazione sperimentale dell’Istituto.
Il processo di reimpianto di varietà su portinnesto americano resistenti alla fillossera proseguì, seppur tra alterne vicende ed episodi di resistenza al cambiamento, fino agli anni Trenta.
Il Congresso viticolo del 1930 (link) potè così rilevare una situazione varietale decisamente modificata rispetto a quella iniziale, anche se perduravano zone in cui la viticoltura era di scarsa qualità e che quindi richiedevano urgenti interventi di rinnovo varietale.

Soprattutto nelle zone a maggior vocazione viticola, il rinnovato processo di sostituzione delle varietà meno pregiate con altre più adatte alle varie zone viticole cominciava a dare i primi frutti: nella bassa Vallagarina trovarono la loro zona di elezione i Lambruschi, il Marzemino nei dintorni di Rovereto e Isera, il Merlot più a nord, fin sopra Trento e in Valle del Sarca, le Schiave in Val di Cembra, il Teroldego in Piana Rotaliana. Tra le varietà a uva bianche la Nosiola dalla Valle dei laghi si diffuse anche lungo l’asta dell’Adige, dalle colline lavisane fino alla Vallagarina e in Val di Cembra, mentre i Pinot bianco e grigio si insediarono in Valle dell’Adige. Resistevano ancora varietà più scadenti ma più produttive come la Negrara, la Vernaccia Bianca o la Rossara e uve comuni per vini da pasto o da taglio.

La grande depressione degli anni Trenta interruppe bruscamente questo processo di rinnovamento; l’eccessiva esposizione finanziaria dovuta agli investimenti sostenuti a fronte dei mancati ricavi dalle vendite di vino a prezzi stracciati determinarono il fallimento di alcune aziende private e cantine sociali, in altre zone si tornò alla coltura promiscua, le zone a più bassa vocazione furono completamente abbandonate. La guerra poi fece il resto, con i danni e la difficoltà di mantenere le pratiche di contenimento della fillossera.

Per questi motivi all’indomani della seconda guerra mondiale la situazione della viticoltura trentina presentava alcuni elementi di problematicità che attendevano di essere affrontati.

Un’indagine di Rigotti-Tonon del 1951 propedeutica alla redazione della Carta viticola (riportata in “Lo sviluppo vitivinicolo trentino” (1955) link) rilevava la consistenza del settore viticolo al termine della seconda guerra mondiale.

Tab. 1 – Distribuzione e dimensione aziende enologiche (1951)

Aree Piccole Medie Grandi Totale Capienza (ettolitri)
Mezzolombardo 18 4 6 28 173.680
Trento 7 1 3 11 67.000
Rovereto 4 5 4 13 123.942
Ala-Avio 5 5 1 11 71.200
Basso Sarca 3 1 4 14.300
Vezzanese 2 2 7.500
Cembra 1 1 3.000
Totale 40 16 14 70 460.622

Fonte: Elaborazione dati Ruatti, 1955, p. 94.

Nota: piccole: aziende con capacità d’incantinamento tra i 1.000 e 5.000 ettolitri; medie: tra i 5.000 e i 10.000 ettolitri; grandi: superiore a 10.000 ettolitri.

Tab. 2 – Aziende enologiche per categoria (1951)

Categoria Piccole Medie Grandi Totale Capienza (ettolitri)
Commercianti 21 11 6 38 248.750
Produttori 2 4 8 14 172.372
Cantine sociali 17 1 18 39.500
Totale 40 16 14 70 460.622

Fonte: Elaborazione dati Ruatti, 1955, p. 95.

Nota: piccole: aziende con capacità d’incantinamento tra i 1.000 e 5.000 ettolitri; medie: tra i 5.000 e i 10.000 ettolitri; grandi: superiore a 10.000 ettolitri.

La maggior parte delle aziende enologiche, distinte tra produttori, commerciati e cantine sociali, operava in Val d’Adige e nella Valle del Sarca.

Castello Beseno – Vigneto 1 giugno 1953 Archivio storico CCIAA TN © F.lli Pedrotti

Su 70 aziende 28 erano a Mezzolombardo, 24 in Vallagarina, 11 a Trento e 6 in Valle del Sarca, con un andamento del tutto analogo, com’è ovvio, a quello della produzione viticola; il 94% della capienza era concentrato nelle aziende della Valle dell’Adige.

Il settore era decisamente frammentato, con 40 aziende su 70 di dimensioni piccole e piccolissime, soprattutto tra i vignaioli e i commercianti di vino, mentre più robuste erano le cantine sociali. Il 73% della produzione di vino era destinata al consumo locale.
All’inizio degli anni Cinquanta l’area vitata rappresentava il 14% della terra coltivata in Trentino (comprendente seminativi, orti e prati permanenti), un dato non molto lontano da quello di prima della guerra; ben il 45% era ancora in coltivazione promiscua e solo il  55% in produzione specializzata. Nondimeno la produzione complessiva era ben superiore a quella dell’anteguerra, considerata la maggior resa degli impianti per le migliorate pratiche agronomiche e di difesa.
Il settore, dunque, anche se in ripresa dopo la guerra, era però lontano dalla piena maturità.

Gli elementi di maggior criticità consistevano nell’eccessiva frammentazione e fragilità delle aziende, soprattutto di quelle in zone marginali e non vocate, nell’eccessivo peso della coltivazione promiscua e/o basata su varietà di scarsa qualità, nella scarsa capacità di proporsi sui mercati nazionali e internazionali.
In generale, il Trentino dei primi anni Cinquanta era un’area a economia depressa, in cui l’agricoltura ricopriva un ruolo importante e occupava ancora la gran parte della forza lavoro, per un certo tempo di nuovo costretta ad emigrare.

La soluzione dei problemi non poteva trovarsi in azioni di natura tecnica, ma si spostava sul piano delle scelte di politica economica; diventava fondamentale e necessaria l’azione di coordinamento, di supporto e di sostegno normativo e finanziario delle istituzioni pubbliche, ciascuna nel proprio settore di competenza:

* l’Istituto agrario di S. Michele all’Adige, sia con il lavoro di ricerca e sperimentazione nella selezione clonale e varietale, delle pratiche agronomiche ed enologiche, sia con la formazione di nuove generazioni di tecnici e operatori specializzati, grazie all’istituzione del nuovo Istituto tecnico agrario con ordinamento speciale in viticoltura e enologia e all’Istituto agrario professionale;

* il Comitato vitivinicolo provinciale, costituito nel 1949 dalla Camera di commercio allo scopo di riunire le diverse categorie  (produttori, cantine sociali, commercianti) per rappresentarne gli interessi e guidare l’ammodernamento del settore, intervenendo nella tutela della produzione locale, nel miglioramento delle attrezzature di campagna e cantina, nella messa in sicurezza del patrimonio infrastrutturale, nel marketing e nella promozione sui mercati;

* la Regione Trentino Alto Adige, che in virtù delle competenze esclusiva in agricoltura e in materia di regolamentazione e ordinamento del credito e di sviluppo e vigilanza sulle cooperative era chiamata a fornire il quadro normativo, infrastrutturale e il sostegno finanziario allo sviluppo del settore.

Sintesi tratta dal volume di Alberto Ianes “La viticoltura trentina e la sua Carta viticola” (2015) cui si rinvia per una completezza d’informazione. (link al libro)

APPROFONDIMENTI:

Fillossera: afide di provenienza nord-americana , giunto in Francia alla fine del XIX secolo probabilmente attraverso barbatelle di viti americane, la cui rapidissima diffusione sconvolse la viticoltura del vecchio Continente. La prima segnalazione nel Tirolo meridionale è del 1901, in un vigneto di Merano, poi a Caldaro e altre zone, per poi giungere in Trentino proprio nell’azienda dell’Istituto agrario di S.Michele, quindi a Faedo e ai Sorni di Lavis. Proprio da S. Michele prenderà il via nel 1907 il grande sforzo di riconversione degli impianti che sarà  completato nel 1913 nell’azienda dell’Istituto, e poi esteso al resto della provincia. Purtroppo la guerra ne interromperà la prosecuzione.

Fotografia in apertura della pagina: Valle di Cembra – Vigneti – Fototeca Trentino Sviluppo S.p.A. – foto di Giorgio Deflorian